La prima casa non si scorda mai

Ricordo perfettamente la prima casa che aiutai a svuotare. Ci sono molto affezionata, perché quell’esperienza è stata fondamentale per l’apertura della mia attività.
I proprietari, non avendo figli, l’avevano lasciata in eredità ai nipoti che, a loro volta, avevano deciso di venderla e dovevano liberarla. Si incaricò dell’impegno il signor Mirco, tra tutti il più preciso, che avrebbe valutato attentamente cosa tenere, regalare, vendere o buttare.
Decine e decine di oggetti, raccolti in una vita intera, giacevano lì, abbandonati a se stessi, come un’eredità vacante.
Mirco avrebbe potuto chiamare un professionista per svuotare “in quattro e quattr’otto” il contenuto di tutti quei ricordi. Ma non l’aveva fatto. Aveva bisogno di credere che gli oggetti scelti accuratamente dagli zii sarebbero stati conservati con amore dai nuovi proprietari, per riuscire a liberarsene senza rimpianti e sensi di colpa. Più li spolverava e più ne era geloso.
Inizialmente invitò alcune persone nella vecchia casa perché ognuno vi trovasse qualcosa per sé. Fortunatamente io ero una di quelle. Ancora non era nata l’idea del negozio, mi stavo organizzando a raccogliere oggetti per i mercatini a cui partecipavo ogni fine mese. Credo che l’evidente entusiasmo che esprimevo ogni volta che scoprivo un nuovo oggetto fu determinante: Mirco decise che sarei stata io ad aiutarlo in quel difficile lavoro.
Iniziammo ad incontrarci ogni giorno in quelle stanze polverose, dove lavoravamo per diverse ore. Mentre io incartavo e catalogavo tazzine, piatti, vasi e quant’altro, Mirco apriva metodicamente i cassetti dei grandi mobili e metteva da parte i ricordi… il distacco richiede una lunga metamorfosi interiore, ci vuole pazienza.
Ad ogni cassetto affioravano spezzoni di vita e così cominciarono i racconti. Io ascoltavo e percepivo l’attaccamento che provava nei confronti di quella famiglia. Fermavo la mia attività, curiosa di sapere come sarebbero continuate le storie. Alla fine della giornata si formavano pile di “roba” da portar via, da un lato i miei grossi scatoloni con le porcellane e dall’altro i suoi: alcuni, i più piccoli, contenevano poche cose, quelle da tenere, gli altri, invece, tutti gli oggetti da riguardare con calma…
Dopo una decina di giorni, nonostante avessi lavorato a rilento, pensavo di aver finito. Avevo controllato tutta la cucina, il soggiorno, le camere, la cantinetta sul retro e la soffitta, dove si trovano le cose più vecchie e interessanti.
Avevo già riempito scatole su scatole con tazzine da tè e da caffè, piattini per dolci, moltissimi vasi (la passione della padrona di casa), specchi, quadri e una deliziosa vetrinetta che un tempo conservava i servizi della festa. Avevo recuperato anche diverse sedie, tavoli, lampade e una credenza dei primi del Novecento.
Ma quella casa era un vaso di Pandora, conservava ancora tante storie da raccontare.
Trovai in soffitta le quattro valigie a quadri usate dalla zia nel suo viaggio di ritorno a casa, dopo anni passati a lavorare in Portogallo. Trovai l’enorme scatola di latta rossa con i disegni natalizi, che conservava ancora i vecchi addobbi di Natale e le cartine geografiche, ingiallite dal tempo, dove c’era ancora la Jugoslavia…
Che soddisfazione riportare alla luce questi oggetti e, con loro, le emozioni e le sensazioni di un’epoca ormai lontana. Il lavoro adesso era veramente finito, avevamo caricato tutto in macchina e ce ne stavamo andando, lasciandoci alle spalle un gran polverone… E quella pianta di limoni nel grosso vaso in giardino? Mirco la curava ormai da tempo ma non poteva portarla con sé, era troppo grande.
Ora si sta godendo il sole nel giardino di casa mia e rappresenta molto per me: è il contatto con quella famiglia, conosciuta attraverso la forza dei ricordi e il simbolo del mio nuovo inizio.
Matriarca: Welcome home.